04/04/2024

Il gusto e il disgusto nella vita e nella cucina di Marguerite Duras

Oggi vogliamo ricordare la scrittrice, regista e sceneggiatrice francese Marguerite Duras in occasione del suo compleanno: per renderle omaggio abbiamo intervistato la scrittrice Annalisa Comes, autrice del libro Il gusto delle parole in Marguerite Duras.

Che cosa ti lega a Marguerite Duras? Da dove nasce l’idea di scrivere un libro su di lei?

Sono partita dal dolore, dal disgusto, dal vuoto, temi che ho trattato per un numero di «Leggendaria»: quelle riletture (Il dolore, i “Diari” ecc.) mi hanno portato, specularmente al vuoto, anche alla pienezza. Così ho seguito il corpo della sua scrittura e le facoltà elementari del corpo: l’olfatto, il tatto, il gusto, principalmente, ma anche la vista e l’udito. Per Duras, come ho scritto, «non sono elementi simbolici ma lettere-segni, forme, nomi e procedimenti narrativi costituzionali». Un viaggio straordinario.

Scrivendo questo libro, hai scoperto degli aspetti di Marguerite Duras che non conoscevi?

Sì, tantissimi. Può sembrare strano, ma mi piace scrivere proprio di quello che so meno, almeno in partenza. Scrivere è un modo per studiare, per imparare, per conoscere meglio; nel caso di Duras, per esempio, ho letto sceneggiature che non conoscevo e ho rivisto film che non ricordavo più.

In poche parole, come definiresti il rapporto tra Marguerite Duras e il cibo?

Vorace, divorante, di eccessi e di vuoti.

Qual è la tua ricetta preferita tra quelle descritte nel libro? Hai mai provato a realizzarla?

Nessun dubbio: la zuppa di porri! Forse proprio perché è semplice ma a volte viene trascurata, come dice Duras, e poi anche per me ha un sapore di infanzia e di casa. Certo, la accompagnerei con un buon Sauvignon… Ma devo confessare di aver sperimentato tutte le ricette!

Immagina di uscire una sera a cena con Marguerite Duras: dove la porteresti? Quali sono i piatti che ordinereste?

Credo che la inviterei a casa mia: anche per me la cucina è un luogo speciale, intimo e conviviale al tempo stesso. Le mostrerei la mia dispensa (anche da me vige la legge del “doppio” e delle stratificazioni: «Ho un problema di stratificazione… Se non posso mettere due bottiglie d’olio una accanto all’altra, non c’è olio… Se non c’è la bottiglia che deve sostituire quella che sto utilizzando, non c’è olio… Se il sale è solo quello nel barattolo del sale e manca un chilo di sale nella dispensa, non c’è sale… Tutto questo mi rende la vita un inferno, sono costretta a controllare tutto due volte… È proprio così…»).
Mi piacerebbe cucinare con lei. Sicuramente ci sarebbe il riso bianco, quel riso che lei mirabilmente definisce di una “sublime insipidezza”.

Grazie al tuo libro, possiamo conoscere i piatti preferiti di Marguerite Duras. Ma quali sono i piatti che non mangerebbe mai?

Sicuramente cibi surgelati e piatti pronti! Duras definisce “infrequentabile” la gente che mangia in questo modo tutto l’anno, come racconta in un’intervista con Jérôme Beaujour del 1986: bistecca e patate fritte, il caffè al bistro perché ha dimenticato di comprare la polvere… La fretta, la mancanza di cura, la cucina vuota, ma anche l’eccesso di raffinatezza, sono il contrario di quello che rivelano le sue ricette e del suo modo di intendere la casa, la vita, la scrittura…

Devi partire in fretta e furia e puoi portare con te solo uno tra i libri di Marguerite Duras. Quale scegli con te?

Una diga sul Pacifico, per la forza espressiva della sua scrittura, per la storia e le storie personali che si innestano su quella più ampia del colonialismo e della sua denuncia. Questa diga ostinata mi pare l’emblema del lavoro che gli uomini e le donne fanno e che la vita continuamente disfa, e che nonostante ciò si rinnova ogni giorno. Ma qui nulla è simbolico, tutto è nella materia che risuona all’infinito: nei paesaggi, nei dialoghi, nei silenzi, nei cibi, negli odori…

“Leggere è un gusto” è una collana che esplora gli intrecci gastronomico-letterari presenti in piccoli e grandi capolavori. Come presenteresti questa collana a qualcuno che non la conosce?

I libri della collana sono dei piccoli gioielli che possono svelare molto degli autori e delle autrici. Ci parlano in un linguaggio semplice e diretto, quasi senza mediazioni. Una ricetta è come la madeleine di Proust: racconta storie e storia, è capace di rievocare atmosfere, desideri, paure…  Inoltre, insegnando al triennio di un istituto enogastronomico di Roma, utilizzo il cibo, i profumi, i sapori anche come tramite nell’insegnamento della letteratura e della storia.

Hai una predilezione per altri personaggi letterari? A quale cibo li associ?

Astrid Lindgren, di cui sono una grandissima lettrice-rilettrice e su cui ho scritto una biografia. Nel 2016 sono partita per un lungo viaggio in Svezia proprio sulle sue tracce e ho potuto conoscere e apprezzare la cucina svedese (i dolci soprattutto!). D’altronde, ho consultato con vero piacere il bellissimo libretto di Elisabetta Tiveron Pippi Calzelunghe piccola grande cuoca.
Ci sono parecchi autori e autrici di cui ricordo pranzi, banchetti, merende, profumi di cibi, ma qui vorrei ricordare le atmosfere familiari evocate dal grandissimo scrittore israeliano Aharon Appelfeld. Ho letto (e rileggo costantemente) i suoi libri nelle splendide traduzioni francesi di Valérie Zenatti (anche lei grande scrittrice). Nei suoi romanzi le apparizioni del tempo dell’infanzia, e dei genitori in particolare, si nutrono anche di cibi e di profumi. Sono piccoli, ma straordinari e luminosi prodigi: torte di mais e prugne, o di mais e formaggio, le minestre di patate della tradizione popolare, i picnic della madre preparati con cura e mangiati sulla riva del fiume Prut durante le vacanze. Sono cibi semplici acquistati dai contadini, o anche rubati dai giovani protagonisti fuggiaschi e braccati.

Dalla dispensa di Marguerite Duras, foto per gentile concessione di Jean Mascolo