30/05/2023

Goethe e gli ingredienti del Grand Tour

Viaggio in Italia di Johann Wolfgang Goethe rappresenta ancora, dopo più di duecento anni, la più grande testimonianza diaristica dell’esperienza del Grand Tour. Trattandosi di un viaggio nel nostro bel paese, la componente culinaria non poteva di certo passare inosservata!
Laura Melara-Dürbeck, nata a Torino ma residente da molti anni in Germania, nel suo libro I sapori del giovane Goethe, mossa dall’amore per il poeta di Weimar, ha raccolto ingredienti e ricette da lui assaggiate, appuntate e apprezzate proprio durante il Grand Tour.

Intervista all’autrice

Che cosa ti lega a Goethe? Da dove nasce l’idea di scrivere un libro su di lui?

Il mio legame con Goethe risale agli anni della scuola elementare. Per l’esame di quinta elementare (ebbene sì, la promozione alla prima media comportava il superamento di una prova con esaminatori esterni) ogni alunno doveva imparare a memoria e recitare una poesia. Io mi innamorai di una meravigliosa ballata, “Il re degli Elfi (Erlkönig)”. Da allora, la passione per la lingua e cultura tedesca e per Goethe non mi ha più abbandonato.
Il caso ha poi voluto che mi traferissi in Germania: Francoforte, la città natale di Johann Wolfgang Goethe, è diventata la mia seconda casa.
Anni fa fondai un’agenzia gastro-letteraria (Porta un libro a cena). Proposi due volte una cena letteraria dedicata al Viaggio in Italia di Johann Wolfgang Goethe e a quello di suo padre, Johann Caspar Goethe. Alle portate letterarie si alternavano quelle gastronomiche: cibi che, presumibilmente, i due globetrotter francofortesi avevano mangiato o avrebbero potuto gustare durante il loro soggiorno italiano.
L’ultima volta che organizzai questo evento fu nel settembre 2016, in occasione del bicentenario dalla pubblicazione della prima parte del Viaggio in Italia. Avevo raccolto tantissimo materiale, letto numerosissimi libri sia in italiano che in tedesco, strutturato mentalmente questo viaggio. Da tempo meditavo di fissare nero su bianco il risultato di questo approccio “altro”, precisamente gastronomico. La pandemia e il primo lockdown hanno fatto il resto. Viaggiare era abbastanza difficile, i momenti di convivialità dovevano essere ridotti al mimino: ho quindi sfruttato questo periodo per riordinare tutti i miei appunti e intraprendere un viaggio “mentale” nel mio paese seguendo le orme del grande Goethe.

Scrivendo questo libro, hai scoperto degli aspetti di Goethe che non conoscevi?

Goethe ci offre innumerevoli osservazioni riguardanti le tecniche di coltivazione, il colore della pelle delle persone, i sistemi d’irrigazione, la morfologia dei rilievi, le variazioni climatiche, il cambiamento dei paesaggi (per quel che riguarda la flora), la descrizione delle politiche assistenziali. Insomma, non è più solo il poeta o lo scrittore o il drammaturgo: è meteorologo, geologo, sociologo, agronomo e, ovviamente, pittore. Si reca in Italia per studiare l’arte (aspirava a diventare pittore), ma per fortuna si rende conto che è la scrittura l’arte del suo futuro, e vi si dedicherà con rinnovato vigore e successo al rientro in Germania.

In poche parole, come definiresti il rapporto tra Goethe e il cibo?

Elettrizzante e sensuale. L’importanza che il cibo riveste nella sua vita si evince dalle numerose lettere indirizzate ad amici ma, soprattutto, dall’epistolario con la sua compagna e futura moglie, Christiane Vulpius. Tantissime sono inoltre le liriche dedicate al vino e al cibo. Se il cibo non avesse rivestito un ruolo così importante nella sua vita, Goethe non gli avrebbe dedicato tempo, energia e creatività.

Qual è la tua ricetta preferita tra quelle descritte nel libro? Hai mai provato a realizzarla?

Tutte le ricette del libro sono state cucinate almeno una volta da me. Sono davvero molte quelle che potrei riprodurre a occhi chiusi, senza consultare dosi o altre indicazioni. Preferisco quelle vegetariane e di pesce, e sicuramente la mia preferita è quella del risotto di zucca: potrei rinunciare alla pasta, ma mai al riso. La zucca è uno dei miei ortaggi preferiti, forse per le forme, i colori, la versatilità; o forse perché è uno degli ortaggi che maggiormente caratterizza l’autunno, la stagione in cui sono nata io, o perché mi ricorda una delle fiabe della mia fanciullezza, Cenerentola, in cui la zucca si trasforma in meravigliosa carrozza.
Il cibo è anche ricordo e, come ha scritto l’autore colombiano Hector Abadi, «A qualsiasi età̀, compresa quella tarda, è possibile far sì che il tempo retroceda. Per farlo bisogna recuperare i gesti del passato; per recuperarli bisogna tornare ai sapori dimenticati dell’infanzia. E i sapori dimenticati dell’infanzia non li dico, perché ognuno dimentica e ricorda a modo proprio».

Immagina di uscire una sera a cena con Goethe. Dove lo porteresti? Quali sono i piatti che ordinereste?

Se fossimo in Italia lo inviterei a casa di mia madre e le chiederei di fargli assaggiare i piatti di una regione “cenerentola”, inesistente in tutti i percorsi del Gran Tour e tuttora messa nel dimenticatoio. Inviterei Goethe a viaggiare con me in Calabria per scoperchiare le pentole e padelle di una semplice ma antica tradizione culinaria. Chiederei a mia madre di viziarlo con la sua parmigiana di melanzane, con i suoi maccheroni fatti in casa, con i suoi involtini di pesce spada e la sua insalata di peperoni arrostiti e stocco, per concludere poi con una delicatissima torta agli agrumi.

Grazie al tuo libro, possiamo conoscere i piatti preferiti di Goethe. Ma quali sono i piatti che non mangerebbe mai?

Bisogna dire che le ricette sono solo in parte nominate da Goethe. Per esempio giunto a Torbole, sul lago di Garda, l’albergatore della locanda gli propone per cena delle trote che Goethe apprezzerà moltissimo, probabilmente trote salmonate. Altre volte, invece, il grande genio tedesco ci segnala solo un ingrediente di un piatto, oppure offre osservazioni sul paesaggio agricolo e sulle coltivazioni che ci riconducono a un prodotto: i limoni del Garda, i carciofi (a cui per altro dedica anche una lirica), le fave. Nella scelta delle ricette ho dovuto tenere conto della stagionalità, e sulla base di questi indizi ho cercato di immaginare quale pietanza avrebbe potuto assaggiare nel rispetto delle peculiarità alimentari delle diverse regioni italiane.
Durante le sue peregrinazioni siciliane, per combattere l’arsura, la guida (il bardolaro) suggerisce di succhiare la parte interna dei cardi in quanto molto dissetante. Goethe e il suo compagno di viaggio, il pittore Heinrich Kniep, piuttosto scettici, rifiutano l’offerta preferendo del vino annacquato. Il padre di Goethe invece resta disgustato quando, in una stazione di posta sulla strada verso Roma, gli viene offerto il piatto del giorno: rognoni e interiora. Forse anche il figlio avrebbe provato ribrezzo!

Devi partire in fretta e furia e puoi portare con te solo uno tra i libri di Goethe. Quale scegli?

Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister. La figura di Wilhelm Meister accompagna Goethe per buona parte della sua vita, fin dalla giovinezza. Alcune esperienze significative (il viaggio in Italia, la Rivoluzione francese e l’amicizia con Schiller), che lo avevano portato a una più articolata maturità intellettuale, lo spingono a riprendere questo personaggio dedicandogli un secondo romanzo che fu pubblicato fra il 1795 e il 1796. Il romanzo viene considerato come il capostipite di un nuovo genere letterario, il cosiddetto romanzo di formazione. Insomma, c’è un superamento di quella fase prettamente sturmeriana che aveva caratterizzato le sue prime opere. C’è l’idea del viaggio, l’idea della ricerca di un altro da sé, ma anche l’idea della crescita e maturità del personaggio: un’evoluzione personale, emotiva, artistica. In tale romanzo, attraverso il protagonista Wilhelm, assistiamo al valicamento di quella linea sottilissima che dalla realizzazione di un sogno, di un’illusione, sbuca poi nell’accettazione e nella consapevolezza della propria persona ed esistenza. Il romanzo è la storia di chiunque voglia sapere chi sia realmente.

“Leggere è un gusto” è una collana che esplora gli intrecci gastronomico-letterari presenti in piccoli e grandi capolavori. Come la presenteresti a qualcuno che non la conosce?

Credo che condividerei quanto affermato dall’editore: sono libri per gli amanti della letteratura e del buon cibo, quindi per doppi intenditori! “Leggere è un gusto” non è solo una collana di libri di ricette, le ricette forse rappresentano il valore aggiunto. Sono dei saggi che vanno assaggiati, degustati, decantati. Sono libri che possono essere regalati, letti ma anche cucinati, serviti e digeriti. Sono libri che risvegliano la nostra curiosità e ci avvicinano in modo “altro” a un’opera letteraria, ci aiutano a riscoprire uno scrittore da una nuova prospettiva, sicuramente più stuzzicante, che lo rende anche più umano. Sono una “merenda” letteraria, con cui nutrire il corpo e lo spirito!

Hai una predilezione per altri personaggi letterari? A quale cibo li associ?

Adoro Jane Austen, tutti i suoi romanzi. A lei associo un delizioso English-tea con pietanze dolci e salate come vuole la tradizione: non dovrebbero mancare gli scones o una delicatissima torta alle fragole.
Adoro i gialli, in particolare quelli di Loriano Macchiavelli con il suo commissario Sarti Antonio, amante del caffè ma affetto, purtroppo, da colite cronica.
Adoro Corrado Alvaro e il suo romanzo Gente di Aspromonte a cui associo una povera colazione a base di pane secco (friselle) ammorbidito con acqua e arricchito da pomodoro, olio e origano.
Ma anche Elena Ferrante e la sua saga partenopea: il cibo è sinonimo di un viaggio di emancipazione. Ma è il cibo delle origini, quello napoletano, che vincerebbe e qui, ovviamente opterei per un piatto di mare, la ricetta geniale,  gli spaghetti alle vongole.